Orizzonti strappati, Arte In, Ottobre 1995.
Nei suoi paesaggi un gesto liberatorio che lacera e crea. Di volta in volta si muove come un geologo o un topografo. Declinando sulla superficie le emozioni attraverso aggiustamenti tonali e modulati spostamenti prospettici
di Luciano Caprile
Strappare per creare e aggiungere per distruggere. La contraddizione di Lucio Perna sembrerebbe questa, se ci si volesse fermare sulla soglia del problema pittorico proposto dalle sue carte violate e giustapposte per frammenti, per sfilacciature, o pronunciate lungo le ferite slabbrate di un margine non corrisposto da un altro margine. Per lui le lacerazioni sono anche dovute a colpi di pennello che spezzano le campiture troppo ampie, che delimitano ambizioni fuggitive, che alimentano spessori e variazioni di tono. Il suo ? un modo singolare di dissodare un paesaggio che travalica l’etichetta dell’astrazione o il richiamo informale. Anche Mondrian ? rimasto per sempre un paesaggista con l’occhio aereo di topografo capace di captare i colori forti e contrastanti della regione olandese. Dunque Perna insegue il suo paesaggio e lo raggiunge dopo una gradualit? scalare di sottrazioni, una sorta di quinte rosicchiate alla ricerca di un possibile orizzonte. C’? una striscia precaria di azzurro che lo attende (un’illusione di mare?); oppure gli azzurri ripetuti, scanditi e leggermene rifilati di bianco promettono un approdo nell’ocra frantumata dal distacco.
Magari sono visioni, illusioni, miraggi, scherzi di una prospettiva che ci sfugge per non svelare l’inganno. Perch? Perna persegue lo stesso sistema compositivo attivando l’olio su tela, in una gradazione di tonalit? che mimano il gesto liberatorio di chi strazia e crea. Il primo momento sembrerebbe propedeutico del secondo,tanta ? l’attenzione di inventare quelle situazioni ambientali che riuscivano cos? bene, sulla medesima via del collage, al Nani Tedeschi di qualche anno fa. Solo che lui popolava quelle essenziali lande della bassa padana magari di una sola ala d’uccello. Perna invece lascia la scena vuota, in attesa del solo sguardo di chi guarda l’opera.
Se vogliamo tralasciare per un attimo la tentazione figurale, possiamo scorgere, soprattutto nelle composizioni articolate su tonalit? monocrome, un flusso di linee ad andamento leggermente ondiforme a generare un accumulo di forze a cui corrisponde una convergenza di punti, di spessori; di contro la fuga radiale in senso opposto ci fa partecipi di una calma anche colorica, di un riposo di tensioni.
In qualche altra circostanza ?il colore si organizza in scrittura multilineare e si sottopone a tessiture luminose di maglie ortogonali stese su fondi di colore ritmicamente pianificato?, come ha annottato Carlo Belloli nel 1993.
Oppure ci possiamo soffermare su incroci, su nodi, su evoluzioni circolari che metamorficamente preludono ad apparizioni fantasmatiche, ad ombre della sera ancorate a quelle linee giunte finalmente a dimora o risucchiate dalle stesse immagini per esprimere icone di transito, dichiarazioni di provvisoriet?.
Nelle opere pi? recenti la tensione monocromatica scioglie l’inganno di una figura inglobandone gli elementi di possibile distinzione; il racconto si incapsula in se stesso e si rifugia in una composizione a intreccio. La memoria produce quindi un’isola a protezione del mistero o dell’incontro immaginato. Ed ? ancora un’ipotetica visione aerea la possibile chiave di lettura di sezioni in transito su una planimetria dell’inconscio.
Insomma, Lucio Perna si fa di volta in volta geologo o topografo nel declinare sulla carta o sulla tela le percezioni o le emozioni da rendere tattili o da diluire in ectoplasmi attraverso graduali mutazioni o modulati spostamenti prospettici. Il tutto avviene nella costante ricerca di un equilibrio cromatico e compositivo conquistato per continui aggiustamenti tonali attraverso il colore a olio o nel rimarginare le ferite disegnate dagli strappi.
Da qui riprende il filo leggero e suadente del racconto, di una suggestione visiva.