Lucio Perna o della Geografia Emozionale, catalogo mostra presso Galleria Scoglio di Quarto, Milano.

Nel rapporto tra un critico e l’artista le emozioni seguono piste e itinerari lungo le quali il vissuto di entrambi viaggia e si mescola per portare infine alla luce tracce visibili in cui ognuno scopre qualcosa di s?.
L’opera d i Lucio Perna che si esprime dagli anni’ 90 in poi, nelle carte, sfrangiate e sovrapposte in un ordinato caos sedimentario, ? un percorso alla ricerca del s? attraverso il movimento il moto dell’andare gli appartiene e lo sguardo che indaga scopre, aldil? della visione oggettiva le sue mappe.
” Perch? usi la carta?”- gli ho chiesto un giorno in cui sono andata a trovarlo in studio- “Perch? mi consente di entrare in contatto con la realt?”- era stata la risposta. La conoscenza avviene, quindi, attraverso il tatto e investe il corpo tutto. E ‘ una sinestesia avvolgente e coinvolgente, uno sorta di travaso- osmosi che si stabilisce tra il s? e il mondo e la memoria ? sacerdote officiante.

Il deserto ? stato la meta di numerosi viaggi dell’artista. Parlo di silenzio e lui mi racconta di fruscii, di soffi quasi impercettibili che I’orecchio, abituato all’assenza apparente di suoni, percepisce con stupore. E’ lo stupore che sente la vita sotto I’epidermide calda e granulosa della sabbia fine, che ti scivola tra le dita lasciandoti l’impressione dell’estremamente Ieggero e imprendibile.
Le dune del deserto affascinanti come un corpo femminile sinuoso da percorrere lungo la linea dei seni, pi? gi? fino al monte di Venere. Ancora una volta il tatto come fonte di conoscenza primaria.

Quella di Lucio Perna ? una geografia delle emozioni, che lo porta a definire mappe, in cui I’accadimento esterno ? stimolo alla scoperta e al riconoscimento di qualcosa che gli appartiene,e che si inserisce in quella corrente di pensiero facente capo a Giuliana Bruno, filosofa napoletana docente ad Harvard, e al suo Atlante delle Emozioni pubblicato nel 2002.
Questo andare per luoghi ? anche il tentativo di scoprire il vero volto delle cose, al di l? della maschera che lo nasconde. E’ lo realt? illusoria, bene espressa attraverso la serie delle “Maschere”, con cui I’artista inizia la sua ricerca. Realt? ingabbiata e imbrigliata dalla fitta rete dell’apparire che si mostra per svelamenti e lampi di luce improvvisa; bene semplificata anche questa dalle “Reti”, che fanno seguito a met? degli anni ’80 al ciclo delle ?Maschere?.

L’Africa, l’ Oriente, ? il mondo verso cui I’artista volge lo sguardo. Penso alle sue origini calabresi e a quanto di oriente ? rimasto nello memoria di colori, odori, parole. Alle atmosfere di civilt? che si attraversano permeandosi e contaminandosi senza alterare la loro riconoscibilit?.
ll viaggio che I’artista compie ? quello di Ulisse che lo riporta a casa, carico dell’esperienza, vecchio di uno sguardo sapiente e nuovo, perch? nuovo ? ora il modo in cui percepisce, vivendola, la realt?.
La mappa include la definizione spaziale delle emozioni, poich? ? attraverso lo spazio che queste si dipanano, concretandosi in luoghi, persone e cose che in esso imprescindibilmente vivono.

Ed ? a questo punto che nel percorso artistico di Lucio Perna la matrice delle emozioni ? soggetta ad una rielaborazione razionale che la riordina spazialmente, creando relazioni e rapporti di geometrica valenza, dando luogo ad architetture di pure forme-colori.
E’ allora che alle fasciature del reale, pieghe che fasciano la tela,e alle increspature cartacee, che mantengono volutamente margini di imperfezione della realt?, si sostituisce la loro trasposizione in un ordine spaziale che le trasforma, mantenendone in vita il ricordo e l’atmosfera, seppur depurata e resa essenziale.
D’altronde gi? le fratture, le spaccature, le sedimentazioni della carta, simbolo della storia incessante che si fa per stratificazioni, trovavano momenti di linearit? e semplificazione, preludenti ad una successiva fase in cui il controllo progettuale, sempre presente, pur in apparente casualit? di forme, trova modo di esprimersi in campiture di colore netto e definenti aree di geometrica purezza.

Il gioco fra rapporti e proporzioni crea un ritmo interno all’opera percepibile come armonia fra le parti, mentre l’introduzione di una striscia a superficie curva introflessa, e sempre in posizione laterale, conferisce dinamismo e leggerezza alla composizione. Le superfici colorate, sempre di natura cartacea, spesso si sovrappongono, creando effetti tridimensionali, quasi che la precedente matericit? della carta chiedesse di farsi corpo e volume per uscire dai limiti ed affrontare lo spazio.
L ‘effetto delle superfici sovrapponentisi, ? d’altro canto, una reminiscenza del doppio, dell’apparenza che cela la verit?, comparsa all’inizio del percorso dell’artista.
E il colore, spesso usato in precedenza in toni leggeri a simulare quasi immaginari tramonti/paesaggi, riacquista un posto di primaria importanza, insieme al nero, squillante e modulato in semitoni, ideale contrappunto.
E’ il colore della memoria, legata a luoghi visitati, vissuti, ed interiorizzati, lungo le tappe di un viaggio che non accenna a finire, che non conosce traguardo, poich? nell’andare ? il senso ed ogni ritorno ? una partenza.

E’ la storia dell’eterno viandante che non necessariamente comporta sempre grandi spostamenti fisici, ma connota lo sguardo mobile, curioso e indagatore.
In questo vagabondare in cui la sosta, le deviazioni e i cambiamenti sono un modo di abbandonarsi al fluire lieve del tempo, si vive immersi in una sorta di sospensione e in una fluida concatenazione di ricordi ed emozioni.
Il viaggio in Birmania, l’ultimo. E il segno dell’oro, dell’azzurro cobalto e di quel rosso-mattone, cos? vicino alla terra che ingloba le case e le confonde.
Colori fissati sulla tela al ritorno. E un vagare della mente, che ti emoziona, ti muove da dentro verso il mondo, gli altri, la vita.