IL MONDO INTERIORE DI LUCIO PERNA

Il ‘900 è stato un secolo scandito da grandi tragedie e anche da grandi fermenti culturali che, in alcuni casi, portarono a delle vere e proprie rivoluzioni in molti campi, dalla poesia al teatro, dalle arti figurative alla narrativa, dalla musica al cinema. Gran Parte degli strappi e delle rotture con il mondo classico si realizzano infatti in questo secolo. Il modello didascalico-pedagogico, su cui era fortemente basato il Classicismo, sia in letteratura che in pittura, entra in crisi e vacilla, aprendo molti interrogativi ma anche dischiudendo nuovi orizzonti e nuovi traguardi che daranno nuova linfa alla creatività degli artisti. In verità i prodromi, se non proprio di una rottura con il mondo classico, ma quanto meno di una messa in discussione, ci sono sempre stati. Per il versante letterario basti pensare a testi come S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo di Cecco Angiolieri o a La Ballade des Pendus di François Villon, oppure ai cosiddetti poeti maledetti come Thomas Chatterton, Aloysius Bertrand, Gérard de Nerval, Charlese Baudelaire, Charles Cros, Armand Robin, Oliver Lassonde o ancora, John Keats, Edgar Allan Poe. Mentre per la pittura sarebbe sufficiente fare i nomi di Caravaggio e Van Gogh, che ci racconta in diretta, attraverso la sua intensa e controversa avventura pittorica e umana, anche la sua “escalation” verso la pazzia, per capire l’inquietudine che ha sempre animato questo mondo.
Nel 1910, durante il suo soggiorno a Trieste, James Joyce inizia a scrivere l’Ulysses, il romanzo destinato a frantumare la struttura della narrazione tradizionale. Nello stesso anno, a Parigi, fu rappresentato

L’Oiseau de feu di Igor Strawinsky, mentre Pablo Picasso, qualche anno prima aveva dipinto quadri come I Giocolieri, La Vita, I Miseri in riva al mare, La Bevitrice di assenzio, La Coppia, L’Acrobata e giovane equilibrista, sancendo in qualche modo la sua presa di distanza dal mondo classico che aveva caratterizzato la sua prima produzione. Il nuovo secolo quindi inizia con “un’arte rifatta sull’arte”, ossia un’arte non più mediata dalla realtà ma mediata soprattutto dall’estetismo, il cui maestro era stato Oscar Wilde con il suo Il Ritratto di Dorian Gray
Albert Camus diceva che l’arte deve avere i movimenti del pudore, per questo non deve dire mai le cose direttamente, ma suggerirle. Tuttavia, è innegabile che l’arte presenti sempre un duplice aspetto, anche quando l’intento dichiarato dell’artista sembra essere diverso: quello didascalico-pedagogico e quello emotivo. Tra questi due estremi trova spazio e giustificazione l’artista. Anzi, credo proprio che l’arte continuerà ad avere una funzione e una valenza fintanto che questo dualismo continuerà ad esistere. L’arte nasce spesso come bisogno di imitare la realtà, la natura, ma anche come desiderio-ambizione di dare corpo ai propri sogni, alle proprie fantasie, ai propri incubi. Non credo che esista un artista, degno di tal nome, che abbia vissuto, o viva, uno soltanto di questi aspetti. Persino gli impressionisti, quelli autentici per intenderci, caricavano i loro dipinti della valenza emotiva anche quando sembrava che dovessero fotografare la natura. Lucio Perna è figlio di tutte le tensioni e le inquietudini del ‘900; è un artista che sa bene collocarsi fra questi due estremi e trovare un proprio spazio e una propria originalità. Egli sembra vivere sospeso su un’altalena dove sogno e realtà si compenetrano e si rinvigoriscono, ma non è assolutamente distante o estraneo ai grandi fermenti che hanno

luogo attorno a lui. Il suo percorso artistico inizia già al tempo delle superiori, ma è a Milano, dove Perna arriva alla fine degli anni ’70, che acquista consapevolezza della complessità del mondo nel quale intende muovere i suoi passi e affermarsi. Nel marzo del 1998 fonda il movimento “Symbolicum” con Federico Honegger, Fabio Uliviero e il poeta e critico d’arte Pedro Fiori. La sua produzione è vasta ed è caratterizzata da vari stili e tendenze. Tuttavia i momenti più significativi dell’opera di Perna si possono condensare in tre fasi: il ciclo delle “Sirene”, che va dal 1972 al 1980, quello delle “Maschere” , che si condensa in un arco di tempo di 7-8 anni, per giungere al ciclo dei “Miraggi” su cui il pittore lavora ininterrottamente dalla fine degli anni ’80.
Nel visitare le opere di Lucio Perna, l’impressione che si riporta è che esse nascono e si sviluppano secondo tempi “differiti”, ossia l’atto emotivo e l’atto creativo non sempre coincidono. È come se Perna volutamente scegliesse di dipingere in un momento successivo rispetto al momento in cui ha provato l’emozione, quasi per stemperare il fuoco emotivo che domina e caratterizza il suo mondo interiore. Ogni cosa nella pittura di Perna risulta essere decantata e avvolta in un’atmosfera surreale e sognante, quasi magica. Gli elementi predominanti delle sue opere sono la natura, i grandi spazi, l’infinito, un infinito non delimitato da alcuna siepe o ostacolo, il silenzio. I paesaggi non sono quelli dei luoghi visitati e fotografati durante i suoi numerosi viaggi, ma quelli dell’anima; così come i volti e i corpi che popolano i suoi dipinti sono quelli di creature senza tempo, evanescenti e palpabili, reali e sfuggenti, eroici e pavidi. Le tele di Perna, viste non da vicino sembrano Papiers collés anche quando non lo sono, per questa sua capacità

di stratificare il colore e snellire la forma. Si tratta di dipinti dove ogni cosa è disposta così armonicamente nello spazio che la circonda, tanto da sembrarne parte per ordine naturale. La pittura di Perna è lontana dal Cubismo scientifico, perché egli tende a rappresentare, come è stato già detto, la realtà attraverso la memoria. Non c’è nella sua opera nessuna intenzione di analisi scientifica, di sezionamento della realtà, ma il tentativo di ricomporre oggetti, forme e segni alla luce del ricordo. I suoi dipinti perciò sembrano opere della natura, ancor più che opere dell’uomo. Gli oggetti, le forme, i paesaggi sono rappresentati secondo la conoscenza che l’artista ha di essi e le emozioni che gli suscitano e non secondo l’apparenza. I volumi sono appiattiti in una logica dove i primi piani hanno la stessa importanza spaziale e prospettica degli oggetti in lontananza. Strati di carta, pennellate di colori, oggetti trasfigurati dalla memoria, tutto nella pittura di Perna rivive in una dimensione onirica che incanta senza mai disorientare il visitatore. I suoi colori sono sfumati, i segni essenziali e le forme, appena accennate, si caricano di grande suggestione emotiva.
Il passaggio dal ciclo de “Le sirene” a quello delle “Maschere” e da quest’ultimo a quello dei “Miraggi” ha il passo felpato di una danzatrice. Personalmente non ravviso strappi particolarmente traumatici, né stravolgimenti apocalittici in questi passaggi. Tutto si evolve secondo ritmi e tonalità dove l’elemento evocativo sembra attutite le passioni e gli amori, le gioie e le sofferenze.
Il momento di rottura nella pittura di Perna c’è sicuramente stato e, forse è stato anche traumatico, ed è rappresentata dal passaggio dal mondo figurativo della giovinezza a quello onirico-surreale della maturità.

Ciclo delle sirene
La sirena è la più celebre e la più rappresentata tra le creature fantastiche. È un ibrido di donna e pesce, le cui origini si ricollegano ai Tritoni della mitologia greca. Con il suo corpo flessuoso e la sua capigliatura fluente, la sirena simboleggia tutte le seduzioni femminili e le tentazioni demoniache che queste ispirano. Tuttavia non è stata sempre rappresentata come donna-pesce, perché proprio presso il mondo greco, all’inizio, essa aveva l’immagine di donna-uccello. Presso i romani si afferma invece il modello di sirena con due code. Il pittore che fu maggiormente affascinato dal mito delle sirene fu John William Waterhouse che dipinse numerosi quadri il cui soggetto predominante era propria la sirena.
Molti sono i pittori e gli scultori siciliani e calabresi che nelle loro opere hanno dato corpo alle sirene di cui ci parla il grande Omero. Lucio Perna, però, si distingue dalla maggior parte di loro perché, pur restando legato al mito greco, di cui come uomo e artista del Sud è intriso, si distacca dal cliché tradizionale nella rappresentazione di queste creature perché va oltre lo stereotipo. Le sue sirene sono quelle del sogno, che non seducono con la flessuosità del corpo, con le loro chiome leonine e i loro seni turgidi, ma incantano per la loro delicatezza e leggiadria. Le sirene di Perna sono creature diafane, che scaturiscono dal gioco di luci e ombre filtrate attraverso la memoria, creature che acquistano spessore dalla increspatura o sovrapposizione delle carte, che sgusciano via agilmente dalle pennellate dell’artista, che incantano per l’essenzialità delle linee. In alcuni di questi dipinti Perna a volte slarga e quasi rende deforme volutamente il corpo di queste creature, fino a farle apparire quasi goffe, ma lo scopo non è quello di metterle in ridicolo, quanto quello di umanizzarle e

riscattarle da quel ruolo demoniaco che hanno ricoperto finora. In gran parte di questi dipinti le zone incave e convesse, i piani e i vuoti concorrono marginalmente alla definizione dei volumi, perché questo compito l’artista l’affida soprattutto alle sfumature cromatiche e all’uso sapiente delle diverse stratificazioni dei materiali adoperati.

Le Maschere
Il tema delle maschere, pur essendo presente nella pittura italiana da sempre, non è stato mai analizzato fino in fondo nella sua straordinariamente vasta valenza culturale, letteraria, artistica e filosofica. Agli inizi del ‘900, grazie ai nuovi movimenti pittorici e letterari che percorrono soprattutto l’Europa e che porteranno la cultura oltre l’ambito pedagogico-didascalico, che fino ad allora ne aveva condizionato la tensione e la forza espressiva, anche la maschera comincia ad essere indagata a tutto tondo. La maschera nelle sue mutazioni si espande non solo nelle arti, ma nella stessa letteratura: spesso in stretta interrelazione, a simboleggiare un più generale bisogno autoriflessivo sulla condizione dell’individuo all’interno di una società le cui relazioni sembrano sempre più sfuggire. Pirandello, e non solo, tratta il mito delle maschere in diverse opere. Per lo scrittore e commediografo siciliano, l’uomo è addirittura un intreccio di infinite maschere, tanto da affermare che esso può essere contemporaneamente “Uno, Nessuno e Centomila”.
In un articolo degli anni ’30 intitolato Maschere come rivelazioni e simboli nella pittura, Aldo Carpi, artista emblematico e poliedrico del Novecento Italiano, enuncia alcune decisive riflessioni in merito

all’allegoria della maschera, facendone quasi una figura centrale nella cultura figurativa del Novecento.
“Molte volte la “maschera”- sostiene Carpi- altro non è che l’effetto di un urto che l’artista, ed anche l’uomo che è nell’artista, prova nell’attivo contatto con i suoi simili- o dissimili; naturalmente la maschera non è realistica ma sempre ermetica.” A partire dagli anni ’20, le maschere diventeranno il tramite espressivo per la rappresentazione di diversi atteggiamenti ideali e morali, e l’artista stesso finisce con l’identificarsi con alcune di queste maschere.
Nel 1924 Andrè Breton pubblica il primo Manifesto del Surrealismo in cui definisce il movimento come un “ Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per scritto o in altri modi, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e morale”. L’iniziativa di Breton e del surrealismo ebbe una notevole importanza : essa portò a pieno sviluppo alcuni degli esperimenti formali delle avanguardie storiche, come le parole in libertà e il dinamismo del futurismo, e i giochi linguistici del dada; sfruttando le scoperte di Freud e della psicoanalisi, estese le sue ricerche nei territori poco esplorati della vita psichica e mentale ( in particolare in quelli del sogno e dell’inconscio, delle tecniche dell’associazione e dell’analogia, della scrittura automatica e dell’umorismo); cercò di gettare un ponte tra i valori e le esigenze dei gruppi d’avanguardia e quelli delle classi sociali, fra esperienza estetica ed espressione politica, superando così quella frattura storica che vedeva contrapposte avanguardie artistiche e avanguardie politiche.

Nel 1942 Mafai scriveva che “ il pittore non riconosce la figura umana; ha perduto memoria di quei tratti che per tanto tempo la pittura descrisse.” Per Mafai saranno sempre più le vibrazioni che emanano gli oggetti nello spazio, manichini, maschere, a nutrire la sua fantasia di artista.
Le maschere di Perna non assomigliano a nessuna delle maschere che ci sono diventate familiari- Pierrot, Puncinella, Gianduia, ecc. , o meglio, sono forse le stesse maschere ma reinterpretate e rivisitate attraverso l’inconscio-memoria. Le forme che compongono le maschere danno l’impressione di un sapiente patchwork senza soluzione di continuità. Perna sa valorizzare i contrasti così come sa dare risalto alle superfici, semplicemente agendo sugli effetti cromatici. In alcune di queste maschere le forme geometriche sono accostate a ritagli di oggetti familiari in un sapiente lavoro di collage, dove il colore diventa la “malta” che le lega insieme ogni cosa. Le maschere di Perna sono occhi che osservano ma non giudicano, sono presenze che scrutano ma non indagano i nostri comportamenti, sono presenze che non infastidiscono. Nelle “Maschere” di Perna la realtà non è mai deformata in maniera satirica, tanto meno in modo grottesca. L’artista non ha alcun interesse a disorientare il visitatore con espressioni inquietanti, ma renderlo semplicemente partecipe delle sue emozioni
I colori adoperati dall’artista sono prevalentemente il blu, il bianco, il rosso, il giallo e il nero.

Il ciclo dei Miraggi
Dal punto di vista scientifico, il miraggio è un’illusione ottica naturale, che si verifica quando i raggi del sole incontrano uno strato d’aria più caldo rispetto agli strati sovrastanti dove l’aria più fredda è di densità maggiore. I raggi del sole subiscono una riflessione totale ed è possibile vedere le immagini come se fossero veramente riflesse al suolo. Nel deserto, per esempio, a riflettersi è soprattutto il cielo, per cui può accadere di vedere un fiume o un lago in lontananza. I miraggi di Perna hanno poco di scientifico, perché si tratta di una ricerca interiore simbolica che mira ad esplorare il suo inconscio. È una ricerca che si protrae da anni e che sembra rappresentare quasi il punto di approdo di un percorso iniziato agli inizi degli anni ’90. Questa ricerca si può inserire nel bisogno dell’artista di rivisitare e reinterpretare le emozioni vissute nella varie tappe della sua vita. Dipingere l’impalpabile, l’incorporeo, il silenzio, l’infinito, la luce è un modo per l’artista di ascoltare il suo io e di scavare dentro di sé per fare emergere brandelli di io e verità nascoste. I dipinti di questo ciclo si presentano come tanti sottilissimi fagli di roccia dentro cui sono nascosti palpiti di vita e lamenti che solo l’artista è in grado di percepire. La pittura di Perna è nutrita da una forte energia mentale che si esprime attraverso forme che esistono nel suo inconscio. Nella opere di Perna raramente si coglie il senso del conflitto o dello smarrimento in cui l’umanità è incorsa nel Novecento, perché il suo bisogno di evadere dalla realtà lo porta a collocarsi su piani di ascolto e di dialogo dove le sensazioni e le emozioni hanno un valore assoluto.
Cataldo Russo