monografia: Lucio Perna Geografia Emozionale

Lucio Perna
Lo spazio, luogo dell’anima

Gli anni formativi hanno radicato le linee di percorso. I paesaggi della società, tradotti nelle prospettive della cultura, sono maturati nei luoghi dello spirito.
Alle delimitazioni degli Anni ‘60 corrispondeva la spazialità del futuro. Che esisteva, attraeva, sollecitava la scrittura e la conquista.
Internet non era nato ma pulsava la voglia di dialogo a tutto campo. A Woodstock convennero tutti e allo sbarco sulla luna non mancava nessuno.
Le frontiere pativano burocrazia, talune grondavano sangue ma l’anelito all’abolizione dei confini era diffuso.
L’arte era linguaggio di comunicazione, l’America sbarcava in Europa e la Biennale diveniva specchio del mondo.
A Brera, in quell’epoca, si respiravano gli ultimi anni buoni. Ne erano tutti inconsapevoli perché non è possibile sapere prima quale sia l’ultimo atto di vita. Il benessere del boom economico minerà anche la poetica del fare arte e per molti anni impererà il mercato.
Per Lucio Perna, una stagione intensa. Giorni di incontri e colloqui.
Era ancora abitudine dei Maestri ritrovarsi in pubblico, all’aperto, dialogare e accettare di buon grado il giovane ansioso di sapere. A Perna non mancava il garbo della conversazione e della cordialità.
Vede Piero Manzoni, Lucio Fontana, Roberto Crippa e ne rimane affascinato. Non lontano, ai tavoli della stessa cittadella degli artisti, si
trovano Morlotti e Minguzzi, Brindisi, Dova e gli alfieri della generazione più giovane.
Perna comprime e ritaglia il tempo per partecipare a quel mondo
e, senza saperlo, coglierne l’ultimo atto.
Ha contratto un impegno con suo padre e, prima di tutto, deve

condurre a termine gli studi di giurisprudenza. Il resto è secondario se non divieto. Mantiene la parola, taglia il traguardo e si conquista il diritto alla passione.
Al costo di qualche sacrificio, ottiene considerevoli vantaggi, perché è lecito ritenere che i fondamenti di storia e filosofia, come altri parametri di inossidabile equilibrio, concorrano a delineare le pietre miliari del cammino di maturità.
Lucio Perna, nel suo percorso, non deborda, non devia. Compiuta una prima fase di approccio, di sperimentazione e preparazione, alimenta un’ottica di prospettiva e continuità.
Dalla natura allo spazio il passo è breve. Il cielo e il deserto si toccano là dove non vogliono separarsi. Come le nuvole si tuffano all’orizzonte o le catene montuose divengono piani in sovrapposizione.
Lo spazio è il mondo e come tale diviene luogo dell’anima. Che non è passiva o inerte, anzi critica e sprona. Accoglie l’ampiezza dei sensi e la traduce nella proiezione dell’attesa.
Un’opera dopo l’altra, si svolge, come un film, l’autobiografia del sentimento. Il filo logico dell’interiorità consapevole, in parte spontaneità di immediatezza, in buona dose razionalità connivente.
Un carattere certamente romantico, in quanto figlio o nipote di quella cultura, tanto da portare in scena l’uomo e sprigionarne le facoltà espressive ma fondatamente capace di contemperare le dinamiche della suggestione e del pensiero.
L’inquadratura del paesaggio diviene infinità dello spazio, proprietà della natura e risorsa di evocazione. La sequenza di tempo, storia e traccia, si evolve nella successione dei tagli di lettura come capitoli
sanciti nell’unicità di spartito. E la sintesi di partecipazione, che da un iniziale riferimento oggettivo verte a rapidità sempre più incisiva, non esclude il processo di approccio e di immedesimazione ma allude mediante un dettaglio, apparente citazione, che diviene motivo d’accesso.

Perna ha metabolizzato il fascino dello spazio senza circoscriverne il
campo d’azione alla razionalità di pura ricerca. Ha tutelato il territorio dei sensi e i meandri dei sentimenti.
Nel lungo tempo dedicato alla fotografia non intendeva fermare la descrizione ma ritrarre l’emozione. Ancora oggi parlare di fotografia astratta può risultare inaccessibile a molti eppure Perna mirava proprio là. Dove non pulsa un racconto, dove una cosa non è protagonista ma solo occasione emotiva.
Nella foto poteva cogliere con immediatezza vaste campiture a suggestioni d’infinito, liberare la sensazione da ogni limite fisico o sottinteso, spaziare nell’accezione più concreta.
Una condizione di agevolezza certo superiore all’impegno del dipinto sulla tela, un momento propedeutico, di studio e di preparazione, alla pittura.
Oltre alle affinità di visione, di regola compositiva e di struttura, tra foto e quadro, risaltano la linearità di coerenza e la continuità di intento, sottolineatura evidente di unicità espressiva.
Il suo spazio non è fine a se stesso ma specchio dell’uomo, presente anche se non dichiarato, annunciato nell’imminenza.
Natura o proiezione del pensiero sono ambiti vitali, luoghi dell’essenza. Sino a divenire area di introspezione e stanza di monologo.
Lo sguardo è rivolto in profondo, un’immersione nell’intimo conflitto o equilibrio delle cose. Dimensione verticale e interiore, nel tempo e
nei capisaldi dell’animo. In parallelo, una proiezione orizzontale dilaga sprigionando forze all’esterno. La prospettiva sulla natura, sul mondo, sulla contestualità.
Le due direzioni vivono in simbiosi e dialogano in reciprocità, assimilando e trasferendo i valori. Da un lato lo scrigno, celato, custodito, misteriosamente silenzioso; d’altro canto la tensione all’infinito, il superamento del perimetro, l’anelito alla scoperta.

Coerenza nel lavoro e nella vita, intreccio di unicità nell’agire e nell’essere. Il viaggio ha motivato e contraddistinto Perna, i suoi anni, i cimenti, conquiste e suggestioni. Il percorso della conoscenza, la traduzione in concreto di una percezione, la trasformazione in reale di una sensazione intuitiva.
Dalle foto, alle carte, ai bozzetti, come diario di vita, pagine di intimo stupore, meraviglia nella visione e riflesso dell’animo.
I quadri, pittura e materie. Intersezione di piani, sovrapposizioni, allusioni forti. Per scardinare il mondo, respirarlo ed esprimerlo. Fratture, soglie, baluardi d’apparenza che si dissolvono nella longevità dell’ignoto.
Una rampa di lancio per affrontare passato, futuro e vastità del mondo. Per affermare che l’uomo può varcare i limiti della
convenzione, del concetto di spazio comunemente inteso in accezione di vuoto o di immensità siderale senza riconoscerne una dimensione esistenziale.
Come allegoria del navigante, Perna cerca il possesso di nuovi approdi non per rivendicarne la proprietà ma per ampliare la geografia umana. Per seminare radici oltre il consueto, per superare ruggini del tempo e contrapposizioni persistenti raggiungendo alfine solidarietà e rispetto della vita.
Pulsa ancora forte il retaggio dei discorsi accolti e alimentati negli
anni Sessanta. Là dove sogno e utopia, ideale e ideologia si animavano nel confronto reclamando dignità e priorità. E tutto si trasfondeva in arte, fremiti di linguaggio e nuove pulsioni, mentre nell’aria si percepiva un avvento di novità totali, attese sociali e liberatorie, rivelatesi poi solo strumentali e inadeguate a sovvertire l’essenza millenaria del dominio.
Lo spazio di riflessione, di coscienza, di progetto, è ancora necessario, anzi imperativo.
Il lavoro di Perna, traduzione poetica di una visione profonda dell’uomo e del mondo, accende una prospettiva oltre i confini del quotidiano.
Milano luglio 2009 Claudio Rizzi